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Sentenza

Protezione sussidiaria - Minaccia di danno grave per lesione dell'onore fami...
Protezione sussidiaria - Minaccia di danno grave per lesione dell'onore familiare - Rilevanza - Verifica in concreto dell'adeguata protezione da parte del Paese d'origine - Necessità - Fondamento.
Cassazione SEZ. I
ORDINANZA DEL 22/01/2020, N. 1343
In tema di protezione internazionale dello straniero, anche gli atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di un gruppo familiare che si ritiene leso nel proprio onore a causa di una relazione (nella specie, sentimentale) esistente o esistita con un membro della famiglia, sono riconducibili, in quanto lesivi dei diritti fondamentali sanciti in particolare dagli artt. 2, 3 e 29 Cost. e dall'art. 8 CEDU, all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati nell'art. 14, lett. b), del d.lgs. n. 251/2007, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, in presenza di minaccia di danno grave ad opera di soggetti non statuali, ai sensi dell'art. 5, lett. c), del decreto citato, lo Stato di origine del richiedente sia in grado o meno di offrire al soggetto vittima di tali atti un'adeguata protezione.
In precedenza:
i)Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 25463/2016:In tema di protezione sussidiaria, la costrizione ad un matrimonio non voluto (nella specie, per imposizione paterna) costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento di tale misura, può provenire anche da privati allorché le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente non possano o non vogliano fornire protezione adeguata, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull'attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull'eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. 
ii)Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 12333/2017:In tema di protezione internazionale dello straniero, in virtù degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, anche gli atti di violenza domestica sono riconducibili all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dall'art. 14, lett. b), del d.lgs. n. 251/2007 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un "soggetto non statuale", ai sensi dell'art. 5, lett. c), del decreto citato, come il marito della ricorrente, lo Stato di origine sia in grado di offrire alla donna adeguata protezione. (Nella specie, relativa a cittadina marocchina vittima di abusi e violenze - proseguiti anche dopo il divorzio - da parte del coniuge, punito dalla giustizia marocchina con una blanda sanzione penale, la corte d'appello aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale valorizzando elementi quali la condanna penale, l'ottenimento del divorzio e l'appoggio della famiglia di origine della donna, circostanze ritenute dalla S.C. di per sé non necessariamente indicative di un'adeguata protezione da parte del Paese di origine). 
iii)Sez. 1 - , Ordinanza n. 26823/2019:In tema di protezione sussidiaria, e avuto riguardo alla libertà religiosa dello straniero, il diritto a tale forma di protezione non può essere escluso dalla circostanza che il danno grave possa essere provocato da soggetti privati, qualora nel Paese d'origine non vi sia un'autorità statale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull'attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull'eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. (Nella specie, il richiedente, cittadino senegalese di religione cristiana, aveva dedotto di essere esposto, in caso di ritorno in Senegal, al pericolo di essere ucciso per aver rifiutato di diventare sacerdote della religione tribale professata dal padre il quale, morendo, gli aveva lasciato tale incarico secondo la tradizione).
Avv. Antonino Sugamele

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