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Sentenza

Revocare l'affidamento dei figli ad un genitore perché omosessuale è illecit...
Revocare l'affidamento dei figli ad un genitore perché omosessuale è illecito e discriminatorio
È quanto deciso dalla CEDU nel caso X. c. Polonia (ric. 20741/10) del 16 settembre.

La coppia aveva avuto quattro figli dai 12 ai 3 anni e mezzo all'epoca dei fatti. Nel 2005 la ricorrente intraprese una relazione omossessuale con Z. osteggiata anche dai suoi genitori che chiesero invano l'affidamento dei nipoti. Il rapporto con l'ex marito fu sempre molto conflittuale e l'uomo non hai mai nascosto i duri giudizi omofobi contro la moglie e la sua compagna esprimendoli in pubblico davanti ai figli, ai giudici ed ai periti. Le decisioni del 2008 furono influenzate anche dal legame di profonda amicizia del giudice con i nonni materni: inizialmente i figli erano stati affidati alla madre, poi con una serie di ricorsi presentati dal padre gli furono affidati.

Sull'ultimo la battaglia fu particolarmente dura: il padre inizialmente era concorde a lasciarlo con la madre, poi però chiese e ne ottenne l'affido esclusivo. Durante tutta la battaglia giudiziale la ricorrente è sempre stata giudicata, sottoposta a domande imbarazzanti sulla sua relazione (se aveva rapporti sessuali, con quale frequenza ed altri dettagli pruriginosi) e punita «per essersi concentrata troppo su se stessa e sulla relazione con la sua amichetta»: non si sono tenute presenti tutte le variabili del caso ivi compreso che l'ex marito si era rifatto subito una vita ed aveva avuto un altro figlio. Per quanto attiene al figlio minore non si è tenuto conto delle sue sofferenze per questa situazione giudiziale e che era stato cresciuto dalle sorelle più grandi e dai nonni materni.

Evoluzione della prassi e delle leggi sulle famiglie arcobaleno. In primis la CEDU rileva come diverse raccomandazioni del COE sono volte ad eliminare questa discriminazione. In particolar modo l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE) ha emesso la risoluzione 2239 (2018) "Vita privata e familiare: raggiungere l'uguaglianza indipendentemente dall'orientamento sessuale" in cui s'invita a superare ogni discriminazione e pregiudizio per un'effettiva parità di genere. Inoltre, dallo studio sulla tutela dei bambini nelle famiglie arcobaleno allegato a questa risoluzione emergerebbe che «non sono i genitori dello stesso sesso, ma le società che non accettano la diversità a danneggiare i bambini in queste famiglie. Dobbiamo basare le nostre decisioni di politica pubblica per quanto riguarda le famiglie arcobaleno, non su nozioni mal interpretate di famiglie "tradizionali" come l'unico, insostituibile, formato familiare che può fornire un'educazione sana per un bambino – una nozione che può anche essere dannosa per i bambini nelle famiglie monoparentale e nelle famiglie miste (step-families) – ma sulla necessità sia di garantire l'accettazione delle diverse famiglie, siano esse "tradizionali" o "non tradizionali", che esistono in tutte le nostre società, sia di promuovere un ambiente privo di discriminazioni per tutti i genitori e i bambini.

Infatti, come ha chiarito la Corte interamericana dei diritti dell'uomo, e come era già implicito nel ragionamento applicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo quasi 20 anni fa, l'orientamento sessuale di un genitore non ha alcuna influenza sulla sua capacità di crescere e provvedere a un bambino» (neretto, nda). Inoltre, ha richiamato un precedente della Corte interamericana dei diritti umani ove, in linea con quanto sopra, si affronta anche la questione della tutela del supremo interesse dei minori in questi casi.

Nel caso Atala Riffo e figlie c. Cile del 24/2/12, la Corte ha evidenziato: «a questo proposito, la Corte ritiene che il divieto di discriminazione dovuta all'orientamento sessuale dovrebbe includere, come diritti protetti, i comportamenti associati all'espressione dell'omosessualità. Inoltre, se l'orientamento sessuale è una componente essenziale dell'identità di una persona, non era ragionevole richiedere alla signora Atala di mettere in attesa la sua vita e il suo progetto familiare. In nessuna circostanza può essere considerato "legalmente riprovevole" che la signora Atala abbia preso la decisione di ricominciare la sua vita. Inoltre, non è stato dimostrato che le tre ragazze hanno subito alcun danno. Pertanto, la Corte ritiene che imporre alla madre di limitare le sue opzioni di vita implichi l'uso di una nozione "tradizionale" del ruolo sociale delle donne come madri, secondo la quale ci si aspetta socialmente che le donne abbiano la responsabilità principale dell'educazione dei loro figli e che, nel perseguimento di ciò, avrebbe dovuto dare la precedenza all'educazione dei suoi figli, rinunciando a un aspetto essenziale della sua identità.

Pertanto, la Corte ritiene che l'utilizzo dell'argomento della presunta preferenza della signora Atala per i suoi interessi personali, non soddisfi lo scopo di proteggere il miglior interesse delle tre ragazze» (neretto, nda) Si noti come ciò sia in apparente contrasto con recenti Conclusioni della CGUE ove con alcune dicotomie è stato negato il riconoscimento del legame di filiazione ad una coppia di madri omosessuali proprio in nome della tutela dell'interesse nazionale a preservare la famiglia tradizionale (EU:C:2021:296 nel quotidiano del 16/4/21).

Vietato criticare uno stile di vita. Le più recenti esegesi sull'art. 14 estendono il divieto di discriminazione allo stile di vita che ognuno è libero di scegliere. Nel nostro caso la ricorrente era stata invitata dai periti a cambiare radicalmente stile di vita e stigmatizzata in ogni modo per la sua relazione omosessuale. Le Corti interne non si erano nemmeno interessate del benessere dei figli, soprattutto del più piccolo che aveva un fortissimo legame con la madre che si era sempre curata di lui, crescendolo con l'aiuto degli altri figli e dei suoi genitori, nessuno dei figli aveva fatto alcun accenno alla relazione omosessuale della madre e non si era tenuto conto dell'impatto anche della nuova relazione del padre da cui era nato un altro figlio.

Per le Corti valeva il principio del ruolo patriarcale dell'uomo: «per ogni ragazzo proveniente da una famiglia distrutta, un modello di ruolo maschile è importante e la sua importanza aumenta man mano che il bambino invecchia». Poco importa se questo viola il principio di imparzialità e di neutralità cui è tenuto ogni giudice e che sia solo un pericoloso e grave stereotipo di genere in netto contrasto anche con la suddetta evoluzione giurisprudenziale e normativa. Alla luce di ciò la CEDU ha ravvisato una violazione dei diritti fondamentali ad avare una vita familiare serena e dei diritti genitoriali della ricorrente nei termini sinora descritti.
Avv. Antonino Sugamele

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